Feudo di San Maurizio Valle d’Aosta


La Maison e la sua storia

La Maison e la sua storia

Il crou delle lepri

Il clarino di nonno Octave Vallet era un’altra sua voce. Più di un suono d’armonia. Era anche sogno. Dava il La alla banda di Sarre che dirigeva. Le sue mani da agricoltore su quelle chiavi così ravvicinate dello strumento d’ebano sembravano volare.

Un interrogativo, magari un enigma, eppure quella voce di note usciva chiara, perfino il perfido Si bemolle. E fra i tralci delle sue vigne in cui stava finché finiva il giorno, le sue dita diventavano forti. E seguivano le note che rimbalzavano nei suoi pensieri. Il nipote, Michel Vallet, ne ha memoria e si è messo a coltivare una delle vigne di Octave nel 1989. Era diventato un incolto e Michel, con due amici, pianta filari del Muller Thurgau: 700 metri quadrati in leggera pendenza affacciati a Levante. A Crou Levrottes, toponimo che non lascia dubbi sulla presenza di lepri. I primi filari del “Feudo di San Maurizio”. La vendemmia del 1990 frutta trecento litri di vino. E i primi calici vengono serviti al bar che Michel ha aperto a Sarre quattro anni prima. E l’avventura tra filari e cantina comincia. Giovanni, il suo fornitore di vino, gli dice: “Te lo vendo io”. Il Muller Thurgau finisce nelle bottiglie renane e approda nel più grande e blasonato albergo di Courmayeur. La vendita frutta 3.500 lire a bottiglia. Quel campo delle lepri offre uva dorata venata di verde e il ricordo di Octave. La passione è passata nelle sue mani che affondavano nella terra dei vigneti, raccoglievano mandorle, noci e mele e scivolavano leggere sulle chiavi del clarino.

Cinque petali bianchi

I colori. Non puoi che cercarli perché i tuoi passi, quando entri in questa valletta, fanno un lieve fruscio nell’erba della primavera e allora il tuo sguardo segue quel suono e trova l’indaco delle pervinche, il giallo dei ranuncoli. Fiori di campo.

E ti domandi come hai fatto a piantare a terra gli occhi quando un mondo di fiori sono alla loro altezza. Ingentiliscono rami bruni, torti, come trecce scompigliate, spuntati da tronchi bigi. “Comba di mandolì”, appena più in alto del “Crou di levrottes”, quella prima vigna di Octave che ora sarà simbolo d’un orizzonte nuovo, magari pieno di musica, di recite. Chissà. E quella “Comba” e la valletta dei mandorli. Gli occhi che guardano i tuoi sono come neve su quella corteccia scura: ognuno ha cinque petali candidi che lasciano alla loro base una pennellata intensa, di rosa, perfino di rosso. Quei piccoli mandorli contorti, appaiono deboli, ma sostengono la potenza dell’eleganza. Michel la conosce bene e quando trova tra i filari quegli alberi esili, immagina i loro rami fioriti. E li lascia, li cura, spera che resistano. Passeggiava tra i fiori della “Comba di mandolì”, qualche primavera fa, e pensò a come avrebbe potuto incoronare la vigna di Octave per farla diventare la regina del Feudo di San Maurizio. Una trincea, un grande quadrato, una sorta di scogliera per proteggerla. Pietre che il Sole scalderà per vitigni e uva. Questo pensò. E vide una festa, un coro, un’orchestrina, un ballo su quel palcoscenico. E la gente lassù, nella collina che spunta di roccia e erbe, venuta dai vigneti dell’altro versante, e infilata tra antiche querce, accanto a rocce levigate affioranti, anomali spalti d’un teatro da applausi.